La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 16916 del 24 giugno 2025, interviene su questioni cruciali inerenti alla successione dei soci nelle obbligazioni tributarie di società estinte.
In particolare, ribadisce, dando seguito a quanto statuito dalle sezioni unite con la pronuncia n. 3625/2025, che ai fini della configurazione della responsabilità per le obbligazioni societarie in capo ai soci, il presupposto dell’avvenuta riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione integra soltanto una condizione dell’azione attinente all’interesse ad agire e non alla legittimazione ad causam dei soci stessi.
La vicenda processuale
La Ctp di Roma ha accolto il ricorso proposto dai soci di una Srl contro un avviso d’accertamento societario, per il 2008, a loro notificato in qualità di ex soci: la società, infatti, era stata cancellata nel 2012.
La Ctr, confermando la sentenza di primo grado, ha osservato che:
la cancellazione della società dal registro delle imprese, avvenuta nel 2012, aveva prodotto l’estinzione della società, ai sensi dell’articolo 2495, comma 2, del codice civile; l’ufficio non aveva dato prova in ordine ai presupposti della responsabilità dei soci, con riguardo alla distribuzione dell’attivo in base al bilancio finale di liquidazione
era inapplicabile al caso l’istituto del raddoppio dei termini (ex articolo 43, comma 3, Dpr n. 600/1973), atteso che nessuna notizia di reato era stata formulata nei confronti degli (ex) soci, riguardando il procedimento penale il legale rappresentante della Srl partecipata.
La suprema Corte, con l’ordinanza in commento, accoglie le censure proposte dall’ufficio avverso entrambe le statuizioni, avvalorando la fondatezza della tesi dell'Amministrazione finanziaria.
Con riferimento al primo motivo di ricorso, cruciale è la conferma del principio secondo cui l'estinzione della società, di persone o di capitali, per cancellazione dal registro delle imprese, determina un fenomeno di “tipo successorio”, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all'ente non si estinguono, ma si trasferiscono ai soci che, qualificati come "peculiari successori della società", subentrano nella legittimazione processuale dell'ente.
Riguardo al secondo motivo, invece, la Corte chiarisce, che la sussistenza dei presupposti per l'operatività del raddoppio dei termini, in relazione al debito fiscale della società, si riflette sugli ex soci, nella loro qualità di successori per effetto dell'estinzione della società.
L’ordinanza in esame si inserisce nel solco già tracciato dall’importante decisione delle sezioni unite n. 3625 del 12 febbraio 2025 e conferma che, ai fini della configurazione della responsabilità per le obbligazioni societarie in capo ai soci, il presupposto dell’avvenuta riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione integra soltanto una condizione dell’azione attinente all’interesse ad agire e non alla legittimazione ad causam dei soci stessi.
Tale pronuncia, pur ponendo un onere probatorio più stringente a carico dell'Amministrazione finanziaria, ha chiarito aspetti procedurali fondamentali riguardo la prosecuzione del giudizio nei confronti degli ex soci.
In linea con precedenti pronunce delle sezioni unite (in particolare, le sentenze gemelle nn. 6070, 6071, 6072, del 12 marzo 2013), è stato ribadito che, in caso di estinzione della società per cancellazione dal Registro delle imprese, in pendenza di un giudizio tributario, si verifica un fenomeno successorio sui generis. Questo significa che i soci (o ex soci) subentrano alla società estinta nella posizione processuale, sia attiva che passiva.
Di conseguenza:
il socio (o ex socio) è considerato successore della società estinta nel processo, per il solo fatto di essere tale. Non è necessario che abbia effettivamente ricevuto quote di liquidazione o beni dalla società
non può eccepire il difetto di legittimazione passiva nel giudizio che prosegue nei suoi confronti, anche se è rimasto estraneo al primo grado di giudizio. La sua legittimazione deriva direttamente dal fenomeno successorio
la sua responsabilità, tuttavia, è limitata a quanto effettivamente riscosso in sede di liquidazione (o comunque alle utilità patrimoniali ricevute), come previsto dall'articolo 2495 cc. Questo limite opera sul piano sostanziale della responsabilità, non su quello processuale della legittimazione.
Questo chiarimento è importante, perché semplifica la fase processuale: non è necessario instaurare un giudizio ex novo contro i soci per questioni di legittimazione passiva, ma è sufficiente la prosecuzione di quello già pendente.
E ancora, la Cassazione chiarisce che l’interesse ad agire del Fisco nei loro confronti non dipende necessariamente dalla percezione di somme in fase di liquidazione, potendo emergere in funzione della possibile escussione di garanzie o dell’accertamento di sopravvenienze attive.
Infine, fermo restando che il socio non può opporre il proprio difetto di legittimazione passiva per opporsi alla prosecuzione del giudizio instaurato nei confronti della società, nemmeno allegando la mancata percezione di somme, ribadisce che la responsabilità degli ex soci per i debiti tributari della società richiede comunque l’emissione di un nuovo atto impositivo (ex articolo 36, comma 5, Dpr n. 602/1973) e non può essere affermata direttamente nel giudizio avviato nei confronti della società estinta.
Un cenno alla disciplina delle sanzioni
Fino a poco tempo fa, il principio consolidato era quello che le sanzioni amministrative tributarie, per il loro carattere personale e afflittivo (ex articolo 2, Dlgs n. 472/1997), non si trasmettessero agli eredi e, per estensione, nemmeno ai soci di una società estinta.
Tuttavia, la Corte di cassazione, con l'ordinanza n. 23341 del 29 agosto 2024, ha sovvertito questo orientamento, affermando che i soci sono chiamati a rispondere anche per il pagamento delle sanzioni tributarie nei limiti di quanto riscosso in sede di liquidazione.
Le motivazioni di questo cambio di rotta: la Cassazione ha argomentato che, se le sanzioni non si trasmettessero ai soci, verrebbe vanificata la ratio sottesa all'articolo 7 del Dl n. 269/2023, funzionale a evitare che gli effetti della sanzione ricadano su un soggetto diverso da quello che si avvantaggia, in concreto, della violazione della norma tributaria.
In sostanza, i giudici hanno ritenuto che non sarebbe equo che i soci, che hanno beneficiato (anche indirettamente) dell'attività della società che ha generato il debito e la sanzione e che hanno ricevuto somme in liquidazione, non rispondano anche delle sanzioni.
Quindi, mentre il principio generale di intrasmissibilità delle sanzioni agli eredi (persone fisiche) rimane fermo, per i soci di società di capitali estinte, la giurisprudenza della Cassazione (ordinanza n. 23341/2024) ha stabilito che anche le sanzioni tributarie si trasmettono, sempre nel limite di quanto effettivamente riscosso in sede di liquidazione.