News - 27/05/2025 - Informazione utile contribuenti

Interposizione fittizia del Trust, indizi ad hoc
La Cassazione è nuovamente intervenuta in materia di Trust con la recente sentenza n. 9445/2025, ribadendo che, in ambito tributario, al fine di individuare il titolare effettivo, ciò che rileva è la situazione di fatto del “possesso” della fonte del reddito, dimostrabile dall’Amministrazione finanziaria anche a livello indiziario.

La sentenza della Corte
L’Agenzia delle entrate di Napoli ha notificato a un contribuente un atto di contestazione con cui ha irrogato sanzioni per quasi sei milioni di euro per omessa dichiarazione di attività finanziarie detenute all’estero. La sanzione è stata parametrata alle consistenti partecipazioni societarie confluite, attraverso complesse operazioni di cessione internazionale, in un Trust inglese. Dalle indagini era emerso che il Trust fosse stato istituito per frapporre un mero “schermo fittizio” tra il Fisco e il possessore effettivo delle partecipazioni, residente in Italia.
La questione è stata sottoposta dal contribuente alla Corte di cassazione, che però ha ritenuto il ricorso inammissibile per assenza di specificità dei motivi e inoltre perché, in sede di legittimità, sono insindacabili le considerazioni di merito compiute dal giudice di secondo grado in relazione alla interposizione del Trust.

Tuttavia, la Corte, nell’assolvere alla propria tipica funzione nomofilattica, ha ribadito un importante principio di diritto: con l’articolo 37 comma 3, del Dpr n. 600/1973, che disciplina l’“interposizione fittizia” il legislatore ha “codificato un principio di maggiore estensione rispetto alla dicotomia civilistica incentrata su titolarità effettiva – titolarità apparente, perché ciò che rileva, ai fini tributari, è il possesso del reddito formalmente attribuito a terzi (“effettivo possessore per interposta persona”), in luogo e in sostituzione del formale titolare dei redditi, fattispecie che si configura sia in caso di coinvolgimento di soggetti diversi, sia in caso di coinvolgimento di un unico soggetto”. Trattandosi, pertanto, “di possesso come situazione di fatto tale da comportare l’individuazione di un titolare effettivo del reddito complessivo diverso e divergente dal titolare formale (Cass. 19 ottobre 2018, n. 26414; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26057), esso appare coerente con il fatto che la prova è affidata anche a circostanze di carattere indiziario”.
Da ciò la Corte ha fatto derivare che, nel caso in esame, il soggetto tenuto ad adempiere agli “obblighi di monitoraggio” e segnalazioni nel quadro RW fosse il contribuente quale “titolare effettivo” (evidenti i riferimenti alla normativa antiriciclaggio) dei redditi derivanti dalle attività detenute all’estero.

Alcune considerazioni
Il Trust ha trovato definitiva “consacrazione” nel nostro ordinamento con il recepimento della Convenzione dell’Aja (avvenuta con la legge n. 364/1989). L’istituto, tuttavia, si presta a un uso distorto e abusivo, anche da un punto di vista fiscale, e difatti le statistiche registrano numerose contestazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Le criticità attengono sia alla tassazione indiretta sia a quella diretta. In quest’ultimo ambito, in particolare, il Fisco sovente riscontra l’assenza di uno “spossessamento” dei beni del disponente (settlor) in favore del fiduciario (trustee). Sebbene, infatti, da un punto di vista civilistico la coincidenza tra settlor e trustee sia accettata, da un punto di vista fiscale rappresenta un chiaro indice di interposizione soggettiva fittizia con lo scopo di sottrarre materia imponibile.
Con la sentenza in commento la Corte di cassazione ha posto l’accento sull’aspetto “procedimentale” (ex articolo 37, comma 3, Dpr 600/1973), che consente agli uffici di avvalersi di presunzioni gravi, precise e concordanti. In particolare, la sentenza valorizza, ai fini degli obblighi di monitoraggio delle attività estere, la situazione “di fatto” della titolarità effettiva anche per interposta persona, comprovabile anche a livello presuntivo-indiziario.